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Il drone sottomarino. Per la ricerca, ma anche per giocare

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Già, non bastavano quelli in aria, adesso rischiamo di trovarci droni curiosi anche sott’acqua… Ne esistono già diversi, in vendita o in fase progettuale, ma il più completo è quello sviluppato dalla californiana OpenROV: si chiama Trident e può arrivare fino a 100 metri di profondità.

Ha una forma compatta e idrodinamica che lo rende facilmente trasportabile e agilissimo in acqua, grazie anche alla spinta verticale impressa da un piccolo motore ausiliario. Si muove ad una velocità massima di 2 metri al secondo, ma può anche sostare sopra un particolare punto di interesse. Sulla parte frontale ha una telecamera HD e delle potenti luci al led che garantiscono immagini ad alta qualità, inviate direttamente in superficie alla boa a cui il drone deve essere collegato (via cavo perchè le onde radio non si propagano bene in acqua).

Il drone dovrebbe essere disponibile in commercio il prossimo novembre ad un prezzo di 1.199 dollari americani, ma se già sapete che lo vorrete vi conviene prenotarlo adesso pagandolo “solo” 799 dollari.

Le applicazioni del drone sottomarino possono essere le più svariate: già ci si immaginano ipertecnologici armatori che lo useranno per controllare se l’ancora ha fatto presa sul fondo, o per verificare lo scafo dopo un urto. Ma forse per queste operazioni basterebbe un drone sottomarino con una portata inferiore ai 100 metri, e Trident potrebbe essere utilizzato anche per scopi più nobili.

Dal 12 settembre ad oggi il progetto presentato dagli inventori di Trident ha raccolto oltre 800.000 dollari su Kick Starter (la principale piattaforma di fund raising per progetti creativi), suscitando molto interesse intorno al tema della scoperta e del recupero dei relitti. Qualcuno dice che ce ne siano 750.000* solo nel Mediterraneo, e un drone sottomarino in grado di arrivare così in profondità, di produrre immagini di così alta qualità e di essere comandato in maniera così semplice sarebbe senza dubbio uno strumento semplice per eccitanti scoperte.

Trident potrebbe anche aiutare a colmare una lacuna nella conoscenza dei mari e dei loro fondali che ha già da tempo conseguenza catastrofiche per la conservazione dell’ambiente marino. Basti pensare che la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) riceve finanziamenti decisamente inferiori a quelli della NASA (National Areonautic and Space Administration). Se un grande pubblico curioso si aprisse all’esplorazione e alla conoscenza dei mari e degli oceani probabilmente aumenterebbe in modo diffuso la consapevolezza della fragilità e dell’importanza della loro conservazione. E si potrebbe cercare di stare meglio su questo pianeta prima di cominciare a cercarne un altro da colonizzare…

Anche se non si amano i droni, quindi, non si possono non vederne le possibili fantastiche applicazioni. Unico problema che ci viene in mente? Sempre il solito: qualsiasi cavo sia in acqua, per la legge di Murphy, finirà inesorabilmente nell’elica.

 

* 10.000 navi all’anno in Meditarraneo, con 5 viaggi all’anno ciascuna e una probabilità di naufragio dello 0,005%, moltiplicato per 3.000 anni.

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