Rainbow Warrior. La storia della barca che sfidò Mitterand | TuttoBarche

Rainbow Warrior. La storia della barca che sfidò Mitterand

La storia della Rainbow Warrior

La Sir William Hardy, peschereccio di proprietà del Ministero dell’Agricoltura Inglese, primo in Gran Bretagna ad avere un motore a propulsione diesel-elettrica, fu varata nel 1955. Si occupò per diversi anni di ricerca sul pesce come alimento. Nel 1977 fu venduta per quarantaduemila sterline ad una associazione ambientalista nata da pochi anni a Vancouver: la Greenpeace.
Nell’aprile del 1978 la Sir William Hardy viene nuovamente varata con il nome di Rainbow Warrior.

Bombe sulla Rainbow Warrior

Siamo negli anni della guerra fredda. La Francia, con Mitterand presidente – leader del partito socialista- conduce esperimenti nucleari nelle isole della Polinesia. Più precisamente nell’arcipelago Tuamotu, poco distante dalla Nuova Zelanda che mal sopporta di veder distrutto l’ecosistema circostante. Nel 1985 la Rainbow Warrior si prepara all’operazione Greenpeace: bloccare gli esperimenti nucleari francesi a Mururoa. Fa rotta verso Auckland e ormeggia al porto di Waitemate per attendere il resto dell’equipaggio: il fotografo portoghese Fernando Pereira, l’ambientalista neozelandese Bunny Mc Diarmid e Frederique Bonlieu spia della Dgse (Servizi Segreti francesi) che si è infiltrata tra gli ambientalisti sotto il nome di Christine Cabon. Il suo compito è di passare informazioni all’intelligence francese.

La sera prima di salpare l’equipaggio festeggia un compleanno a bordo della Rainbow Warriors. A mezzanotte esplode la prima bomba. Gli ambientalisti riescono a lasciare illesi l’imbarcazione ma il fotografo Pereira decide di tornare indietro per cercare Christine di cui non c’è traccia… qualche minuto dopo la seconda esplosione. Il peschereccio affonda. Fernando Pereira muore.
La polizia neozelandese interviene. I sommozzatori s’immergono e individuano nello scafo gli squarci provocati dalle bombe. L’imbarcazione viene riportata a galla per essere esaminata. Viene aperta un’indagine per omicidio.

Si procede con la visione delle registrazioni delle telecamere installate nel porto. Salta agli occhi una coppia di turisti che durante la notte dell’esplosione si appresta a caricare due grosse borse su un van.

Sono i Turenge, hanno passaporto svizzero, ma non convincono gli inquirenti.

Qualche ora dopo si scopre che i due in realtà appartengono alla DGSE e dipendono dunque direttamente dal Ministero della Difesa francese. Vengono arrestati. Si inizia a sospettare che l’Eliseo sia a conoscenza dell’operazione ai danni di Greenpeace. Dal Ministro della Difesa francese, Hernu, e dal presidente Mitterand, arriva un silenzio assordante, nessun’unità di crisi viene formata. Nessuno si pronuncia, nessuno agisce: la vicenda sarebbe finita nell’oblio.

A metà agosto invece il caso esplode perchè la polizia neozelandese individua un altro gruppo di spie francesi: l’equipaggio dell’Ouvea che sembra abbia trasportato l’esplosivo a bordo della Rainbow. Finalmente i media si svegliano, pubblicano i dettagli e il mondo inizia a mobilitarsi. L’Eliseo è costretto a rispondere e apre un’inchiesta. Inchiesta che verrà manipolata da un uomo abile nel fornire solo menzogne: il Ministro della Difesa francese, braccio destro e caro amico di Mitterand,

Le indagini però proseguono. Vengono trovati non pochi testimoni che dichiarano di avere visto dei sommozzatori dell’Ouvea immergersi la notte dell’esplosione, altri che affermano di aver visto i Turenge consegnare mute, bombole e capaci borse a due uomini ripartiti poi in macchina a gran velocità.
Il presidente neozelandese annuncia: “se i servizi segreti francesi sono coinvolti nell’attacco alla Rainbow Worrior significa che i principi del diritto internazionale sono stati violati. Presenteremo una denuncia contro il governo francese. La Nuova Zelanda potrebbe considerare questa vicenda come un atto di guerra.”

Mitterand intuisce la gravità della situazione ma si rifiuta di negoziare: ne va dell’onore della Francia. Non è forse insostenibile che la Francia, paese di sinistra, abbia fatto esplodere una imbarcazione di ambientalisti uccidendo un uomo?
Il Ministro della Difesa Hernu messo alle strette ammette un’azione di sorveglianza da parte dei servizi segreti francesi. Nessun ordine di attacco alla Rainbow Warrior.

Il presidente della Greenpeace afferma che l’inchiesta è un insulto all’intelligenza di tutti e chiede le dimissioni del governo. Mitterand se ne infischia.

Il 17 settembre Le Monde ottiene la conferma ufficiale di una terza squadra di sommozzatori della Dgse ad Auckland e pubblica lunghi stralci del rapporto segreto scritto dall’ammiraglio Lacoste, capo della Dgse, dal quale si evince che l’ordine di fare esplodere la Rainbow Warrior è stato impartito dallo stesso ministro Hernu. Il ministro Hernu continua a negare.

Qualche giorno più tardi Laurent Fabius, primo ministro francese, in conferenza stampa conferma le rivelazioni del Le Monde. Il ministro Hernu e l’ammiraglio a capo della DGSE sono costretti a dare le dimissioni. La Francia pagherà tredici milioni di dollari come risarcimento alla Nuova Zelanda.

Nel dicembre del 1987 la Rainbow Warrior viene rimorchiata e trainata fino alla baia di Matauri. Centinaia di persone, pescatori, velisti, diportisti, gente qualunque, si affollano su decine e decine di imbarcazioni, attendono la Rainbow per l’estremo saluto quando s’inabisserà per l’ultima volta.
Nel 1990, sulle colline di Matauri, viene inaugurato il Rainbow Warrior Memorial, un importante monumento realizzato dallo scultore Chris Boot.

L’intera opera è realizzata con sassi raccolti nella baia e disposti poi tutto intorno all’elica della Rainbow. Si racconta che prima di trovarsi definitivamente al centro dell’opera di Boot, l’elica abbia compiuto l’ultimo giro.

Un’elica che ha fatto il suo lavoro fino alla fine.

Sibilla Gambino

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