Ormeggio vista Manhattan: nuovo marina in costruzione a NYC | TuttoBarche

Ormeggio vista Manhattan: nuovo marina in costruzione a NYC

di Sara Teghini

Ho vissuto tre anni a New York, Manhattan per l’esattezza, e per tre anni non ho smesso mai di chiedermi come facciano quegli strani, stranissimi isolani (perchè Manhattan è un’isola) a ignorare sistematicamente l’acqua e il mare che li circondano.

Non è questo il posto per una discussione sui modi di vita dei newyorchesi, ma si concorderà che è un po’ strano per un’isola, dove per altro risiedono alcune tra le più facoltose persone del pianeta, avere un unico, piccolo marina, nascosto sull’Hudson, e per di più con vista sul New Jersey (atrocità pura per qualsiasi orecchio newyorchese, nativo o acquisito). Qualcuno deve aver avuto il mio stesso pensiero, visto che è partito il progetto per un nuovo marina, il One°15 Brooklyn Marina, che sorgerà appunto a Brooklyn.

Brooklyn non solo è ormai sdoganato anche dai manhattanesi più duri e puri, ma ha l’indiscutibile vantaggio di offrire una vista strepitosa su Manhattan, di essere facilmente raggiungibile e, da un punto di vista tecnico, di essere ben ridossato nel suo versante occidentale. Il nuovo marina offrirà 102 posti per barche dai 16 ai 250 piedi, oltre ovviamente a tutti i migliori servizi, tecnologie e comfort possibili e immaginabili. La costruzione sta procedendo spedita, per essere terminata nella primavera del 2016, anche se le difficoltà tecniche non sono poche visto che la linea della metropolitana passa esattamente sotto l’area del marina e si sono dovute mettere in campo tecnologie molto sofisticate per conciliare le cose.

Resta appunto la questione dello strano rapporto dei newyorchesi con l’acqua, e della conseguente eventualità che il marina sia poco frequentato. Per scongiurare il problema i proprietari hanno lanciato un programma riservato non solo ai membri del club, ma anche alle comunità di Brooklyn e ai semplici passanti. Se siete velisti appassionati e avete in programma un viaggio a New York, insomma, potrete chiedere di fare un’uscita nella baia, usare la Statua della Libertà come boa e veleggiare verso Manhattan per un’esperienza grandiosa.

E se qualcuno avesse bisogno di un incoraggiamento per uscire dal labirinto di grattacieli e dirigersi verso l’acqua, basterebbe forse leggere lo strepitoso incipit del più bel libro di mare mai scritto, Moby Dick*.

Melville, dopo il famoso “Chiamatemi Ismaele“, dedica tutte le prime pagine all’acqua e alla sua magia, osservando proprio le coste di Manhattan e il comportamento dei suoi abitanti (evidentemente diverso all’epoca…):

“Eccovi dunque l’insulare città dei Manhattanesi, tutta cinta dalle banchine come le isole indiane dai banchi di coralli: il commercio l’avvolge con la sua risacca. A destra o a manca le strade portano verso l’acqua. La punta estrema della città è la Battery: quella nobile mole è bagnata da onde e rinfrescata da brezze che poche ore prima erano dove la terra è invisibile. Guardate lì le folle dei contemplatori dell’acqua.

Camminate ai margini della città in un sognante pomeriggio domenicale. Andate da Corlears Hook a Coenties Slip, e di là per Whitehall verso nord. Che cosa vedete? Piazzati come sentinelle silenziose tutt’intorno all’abitato, stanno migliaia e migliaia di mortali impietrati in sogni oceanici. Alcuni appoggiati ai pali, altri seduti sulle testate dei moli; questi spingono lo sguardo oltre le murate di navi che vengono dalla Cina, quelli aguzzano gli occhi verso l’alto, nelle attrezzature, come cercassero di spaziare ancora meglio sul mare.

Ma sono tutti gente di terra, uomini rinserrati nei giorni feriali tra cannicci e intonachi, legati ai banchi, inchiodati agli scanni, ribaditi alle scrivanie. Che significa allora? I prati verdi sono scomparsi? Che fa qui questa gente? Ma guardate! Arrivano altri gruppi che marciano dritti all’acqua come volessero tuffarsi. Strano! Niente li soddisfa se non il limite estremo della terra, oziare a riparo del vento, all’ombra di quei magazzini, non basta. No. Debbono andare vicino all’acqua, quant’è possibile senza cascarci dentro. Ed eccoli là piantati per miglia e miglia, per leghe.

Gente dell’entroterra tutti, vengono da traverse e vicoli, strade e viali, da nord e sud, dall’est e dall’ovest. Ma qui si ritrovano tutti quanti. […] C’è qualcosa di magico in quest’acqua”.

* un consiglio da vera appassionata: la traduzione di Cesare Pavese è insuperabile.

 

Sara Teghini

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